Intelligenza emotiva e benessere psicofisico
Alzi la mano chi non ha mai provato un emozione debole, intensa, transitoria o persistente nel tempo!
Provare emozioni costituisce infatti l’esperienza umana più diffusa e pervasiva, a partire dal primo sino all'ultimo giorno di vita di qualsiasi persona. Le emozioni sono il nostro GPS, un modello d’altri tempi, ma il più preciso navigatore capace di guidarci verso la giusta direzione: il nostro benessere! Che cos’è un' emozione? Il termine emozione deriva dal latino emovère, che significa “portare fuori”; si tratta un moto dell’animo in risposta a stimoli interni o esterni a noi. Paul Ekman, uno dei principali studiosi delle emozioni, ha individuato sei emozioni:paura, felicità, collera, tristezza, disgusto e sorpresa. Queste emozioni sarebbero innate e universali e si manifestano (nella mimica facciale, nelle reazioni posturali, nei parametri della voce) nello stesso modo a prescindere dalla cultura di appartenenza. A conferma dell’universalità e del carattere innato di queste emozioni, alcuni studi hanno evidenziato che le stesse espressioni mimiche si possono ritrovare anche in soggetti nati ciechi, che quindi non possono averle apprese per imitazione. Le emozioni hanno svolto un ruolo fondamentale nell'evoluzione e nell'adattamento della specie umana al proprio ambiente. Immaginate se i nostri antenati, fin dalla notte dei tempi, non avessero avvertito la paura e non avessero quindi potuto riconoscere i pericoli circostanti: probabilmente l’uomo si sarebbe estinto, sbranato da qualche animale feroce! In base a quali elementi affermiamo di provare una specifica emozione? Ad esempio da cosa ci accorgiamo che siamo arrabbiati ? Quando siamo arrabbiati, nel nostro corpo avvertiamo una serie di modificazioni fisiologiche più o meno intense, ad esempio l’aumento del battito cardiaco, il respiro affannato, una certa tensione muscolare; inoltre, assumiamo una serie di comportamenti facilmente riconoscibili da chi osserva: alziamo la voce, gesticoliamo, possiamo arrivare ad essere aggressivi verbalmente o fisicamente con chi ci ha ferito. Infine formuliamo una serie di pensieri di cui siamo più o meno consapevoli. Ad esempio nel caso di un litigio con un nostro amico potremmo ricordare tutte le volte in cui ci ha offeso, e immaginare le possibili azioni di vendetta che ci piacerebbe attuare nei suoi confronti! Quindi, provare un’emozione consiste nel verificarsi contemporaneamente di alterazioni fisiologiche, comportamenti e pensieri. Ridefinire le emozioni nei termini di alterazioni fisiologiche, comportamenti e pensieri è importante non solo da un punto di vista concettuale ma soprattutto da un punto di vista pratico, proprio perché allora le possibilità di gestione emozionale diventano più chiare. Infatti noi possiamo imparare a conoscere il nostro corpo, a modificare i nostri pensieri e a pianificare in modo più consapevole i nostri comportamenti. Emozioni positive ed emozioni negative Generalmente tendiamo a dividere le emozioni in negative ( ad esempio rabbia e tristezza) e positive (felicità). È chiaro che alcune emozioni mal gestite possono avere delle conseguenze negative su noi stessi o sugli altri. Tuttavia le emozioni sono tutte utili, perché ci forniscono importanti informazioni collegandoci ai nostri bisogni, sia fisiologici che affettivi e sociali. Le nostre emozioni sono degli eccellenti indicatori di ciò che per noi è importante. Quando pensiamo che i nostri bisogni siano soddisfatti o che stiano per esserlo, proviamo delle emozioni piacevoli. Al contrario quando i nostri bisogni sono inappagati proviamo delle emozioni spiacevoli. Perdere il contatto con queste emozioni equivale a ignorare le informazioni che esse veicolano. Come imparare a gestire le nostre emozioni? La scienza dimostra che le persone “intelligenti emotivamente”,ossia capaci di gestire bene le loro emozioni, di riconosce e autoregolarle hanno maggiore probabilità di restare in buona salute, di vivere a lungo e di costruire relazioni sociali arricchenti. Al contrario invece, emozioni mal gestite, ossia controllate o evitate, possono avere effetti molto negativi sulla nostra salute, sia mentale ( rischio di ansia, depressione, attacchi di panico ecc.) che fisica. Purtroppo la nostra educazione ha spesso dato poco spazio all'apprendimento delle emozioni, e molti di noi sono dei veri e propri analfabeti emotivi! Il primo passo quindi è imparare ad essere autoconsapevoli delle nostre emozioni, poiché se tale consapevolezza ci sfugge, le emozioni possono aumentare di intensità fino ad esplodere in modo spesso incontrollato. La consapevolezza parte soprattutto da un attento ascolto del proprio corpo, in quanto le alterazioni fisiologiche sono spesso il primo segnale di un’imminente emozione. Evitare, fuggire e combattere le nostre emozioni contribuisce ad aumentare il nostro malessere. Le emozioni vanno accolte!! Inoltre è necessario saper riconoscere le emozioni altrui, imparare a leggere i segnali paraverbali ( tono della voce, velocità dell’eloquio ecc..) e non verbali dell’altro (postura, mimica facciale, gestualità ecc.) , sviluppare l'empatia, ossia riconoscere come l’altro si sente, riuscire a mettersi nei panni dell'altro pur restando noi stessi, e questo è possibile sono se siamo capaci di riconoscere le nostre emozioni. E' fondamentale comprendere i propri e altrui pattern comportamentali e collegarli a stati affettivi successivi o precedenti, individuare i pensieri disfunzionali e le situazioni collegate agli stati emotivi, per poi riuscire a modulare le emozioni, questo ai fini del nostro benessere e di un adattamento ottimale all’ ambiente. E' importante non dimenticare che la nostra intelligenza emotiva può essere educata e migliorata in qualsiasi momento della nostra vita! Buon lavoro!
Studio di Psicoterapia
Dott.ssa Silvia Lodovica Pusceddu Psicologa e Psicoterapeuta ad orientamento cognitivo interpersonale email: [email protected] telefono: +39 333 6411 604 Studio: via Gioacchino Rossini, 13 - 09128 Cagliari
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Dipendenza Affettiva: Riconoscerla e Guarire
Ti capita di sentirti solo/a ogni volta che il partner non è con te?
Ti senti escluso/a dalla sua vita se non ti rende partecipe di ogni suo movimento? Ti capita che se il tuo partner non ti cerca, telefona o scrive un messaggio su whatsapp, entro i tempi soliti, hai manifestazioni fisiche di malessere( tremore, palpitazioni, angoscia) e inizi a pensare che ti abbandonerà? Quando sei solo/a ti senti perso/a, triste? Più di una volta ti sei trovato/a in una relazione con qualcuno che era incapace di impegnarsi seriamente e sei rimasto/a con la speranza che cambiasse? Senti che qualcosa in te non va e pensi che se il tuo partner se ne accorgesse ti abbandonerebbe? Riconosci di diventare punitivo/a se il partner manifesta la volontà di stare da solo? Sei consapevole che la persona che hai a fianco è distruttiva ma non riesci a fare a meno di lei? Se hai risposto positivamente alle domande su riportate, potresti soffrire di una dipendenza affettiva. Chi è il dipendente affettivo? Chi soffre di dipendenza affettiva dipende da un cuore, da una speranza, dalla presenza dell’altro e senza l’altro non riesce ad essere felice e precipita in un vortice di solitudine e angoscia. Il dipendente affettivo fatica ad attribuirsi il giusto valore, a riconoscere la propria identità e a identificare e soddisfare i propri bisogni e desideri; è una persona che non conosce la sua grandezza, la sua forza, il suo valore e i suoi limiti. Egli vive in una posizione di subordinazione nei confronti dell’altro instaurando rapporti malsani e non paritari pur di non perdere l’altro. Da dove origina la dipendenza affettiva? Alla base della dipendenza vi è un bisogno d’amore eccessivo, compulsivo e insaziabile che porta a perdere la propria autonomia emotiva, “si vuol essere amati ad ogni costo senza sapere cosa significhi amare se stessi”. Spesso le persone dipendenti hanno alle spalle un passato di abusi, maltrattamenti o carenze emotive che non sono riuscite ad elaborare e tendono così a replicare le loro dinamiche famigliari scegliendo partner inadeguati: evitanti o narcisisti, che confermano il senso di non amabilità personale, che il dipendente affettivo ha sviluppato. Come superarla ? Uscire dalla dipendenza affettiva non è semplice, ma con un impegnativo lavoro su se stessi è possibile. Il primo passo da fare è prendere consapevolezza del problema. Occorre ammettere di essere vulnerabili e riconoscere che la dipendenza ha preso potere sulla propria vita e impegnarsi quindi per riprenderne il controllo. Il dipendente affettivo viene aiutato a prendere coscienza del proprio valore personale e a rispondere autonomamente ai propri bisogni, per arrivare a sentirsi responsabile della propria felicità. Il compito più difficile che il dipendente affettivo dovrà superare, sarà famigliarizzare con la solitudine, che egli teme, poiché questa lo mette davanti a se stesso. La solitudine deve diventare un’occasione importante per porsi delle domande, per ascoltarsi e prendere coscienza degli schemi nei quali è intrappolato. Viversi la solitudine non significa isolarsi dal resto del mondo ma scoprire uno spazio di intimità che consente di star meglio con gli altri, da cui finalmente non ci si dovrà più proteggere. Il dipendente affettivo dovrà necessariamente smettere di agire in funzione delle aspettative altrui, reali o percepite, e vivere in armonia con ciò che è, apprezzarsi e riconoscere la propria bellezza, maturare la consapevolezza che il proprio valore è pari a quello degli altri e che le perdite fanno parte della vita. Solo attraverso il superamento della paura viscerale dell’abbandono, il nutrimento della sua autostima e coltivando l’amore verso l’essere umano unico, non perfetto e meraviglioso che è, egli potrà arrivare a comprendere che nessuno potrà mai privarlo di quanto ha di più prezioso, perché la vera ricchezza si trova dentro se stesso.
Studio di Psicoterapia
Dott.ssa Silvia Lodovica Pusceddu Psicologa e Psicoterapeuta ad orientamento cognitivo interpersonale email: [email protected] telefono: +39 333 6411 604 Studio: via Gioacchino Rossini, 13 - 09125 Cagliari Ascoltare e comprendere la rabbia
La rabbia, si proprio lei... quell'emozione che spesso ci impegniamo a scacciare, a fingere che non ci sia come se fosse una cosa negativa e distruttiva di cui avere paura.
Riflettevo su quest'emozione importante e vitale quanto la gioia, il disgusto, la paura, la tristezza.. La rabbia a volte è l'ultima strada che ci resta da percorrere quando le altre strade,quelle della tristezza della paura, dell'angoscia ci sono sembrate inutili da percorrere o addirittura bloccate. Dietro l'espressione di rabbia a volte si nasconde il bisogno di comunicare altro: dolore, paura dell'abbandono , solitudine , angoscia; ed è per questo che è di fondamentale importanza darle un significato, comprenderla. Quindi impariamo ad ascoltarla! la nostra e quella altrui, in particolare quella dei bambini, se vogliamo aiutarli a crescere! ogni espressione di rabbia ha un significato diverso, non liquidiamo la rabbia dei bambini pensando che siano capricci. Dare un senso alla nostra rabbia può essere un tentativo di recupero delle emozioni che ci stanno dietro, anche quando sono difficili da gestire e da tollerare, e recuperare le nostre emozioni significa recuperare noi stessi e la nostra storia. Il tradimento nella coppia:
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November 2016
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